Il Luogo Incantato


“Il Luogo Incantato” è un opera scritta da Vittorio Arnò, edito Albatros, 2010. Il 22 giugno 2012 è stato selezionato come finalista nazionale “Opere Edite 2010/12” .

In un libro tra la realtà e l'immaginazione Vittorio Arnò ci racconta Ustica, la sua isola. E lo fa con gli occhi di Arthur, alieno proveniente dal pianeta  Amor alla ricerca di un luogo incantato che possa ospitare la sua razza, a rischio di estinzione. I luoghi, le bellezze naturali e artificiali, gli uomini
sono raccontati in maniera genuina e diretta e Arthur non riesce a crede re ai propri occhi. Ma il fascino e la bellezza di un luogo non bastano a
far sì che questo rimanga tale e l'alieno si ritrova a dover svolgere un altra missione: infondere nuovamente nell'uomo l'amore e il rispetto per la
natura. lo scopo di questo testo narrativo è quello di arrivare a più fasce d'età, a più livelli di cultura e a differenti Credo, per inviare un messaggio
d'Amore vero che ci faccia sentire quello che realmente siamo, e cioè: una cosa sola con il Creato. Ad una attenta lettura, l'opera rivela una sorprendente storia nella storia.


VITTORIO ARNÒ
Vittorio Arnò è nato a Palermo nel 1974. E' Usticese e vive ad Ustica, isola che è al centro della sua vita anche lavorativa. Attualmente, dopo aver fondato varie cooperative a sfondo socio-naturalistico, è presidente della cooperativa Ciprea che opera nel settore della valorizzazione dei beni culturali e ambientali legati alla sua isola. Promotore di varie attività culturali, ha già scritto e curato la regia di diverse commedie teatrali tra le quali vi è "Si Sarpa" che ha festeggiato il 250° Anniversario della prima colonizzazione di Ustica da parte dei Liparoti 1761/2011. Il suo Amore per l'isola viene coltivato anche nel campo dell'artigianato dove ha realizzato le "Carte da gioco Usticisi", gli "Scacchi Usticesi" e le "Calamite di Ustica".
Il luogo incantato è la sua prima opera edita. Successivamente ha scritto altri tre libri: "Ustica - l'isola dei vulcani e delle stelle" guida edito Polaris, "Ustica la cucina è cultura" edito villaggio letterario scritto a quattro mani e un articolo su "Newcimed".

di seguito uno stralcio del luogo Incantato


LA GROTTA PIRCIATA

 

Poco più in là, una stradina sterrata culminava in un lembo di cemento che interrompeva la scogliera. Si avvicinarono per capire di cosa si trattasse. Il blocco di cemento terminava a una decina di metri sotto il mare e ospitava, al suo interno, due enormi turbine che avevano il compito di tirare l’acqua del mare e portarla a un dissalatore che si trovava a circa trecento metri. «Però!» esclamò Arthur «Poiché qui non ci sono le montagne, questo è un metodo intelligente per rendersi autosufficienti. In questo modo l’uomo riesce a ricavare un bene di prima necessità come l’acqua potabile, sfruttando il mare». «Così questo maestoso mare non solo la rende preziosa esteticamente, ma inoltre la disseta. Gli abitanti gli devono essere proprio molto grati» concluse Gnosis. Affascinati, continuarono a sorvolare la scogliera, scrutando tutto come dei bambini che si trovano in una stanza piena di caramelle.                                                          Da quando erano arrivati in questo luogo non avevano fatto altro che ammirare ogni singolo elemento con meraviglia, e non avevano affatto nessuna intenzione di smettere di farlo. Dopo pochi metri si trovarono di fronte a una strada naturale di terra lavica, immersa fra la scogliera e perpendicolare a quella in cui si trovavano precedentemente. Da lì poterono osservare una struttura che si ergeva a una cinquantina di metri di fronte a loro, adagiata sul punto più alto della scogliera. «Cos’è quella struttura con una torre, avente in cima una luce?» chiese Arthur, ormai cosciente del sapere di Gnosis. «È il Faro Punta Cavazzi» rispose Gnosis contento della domanda. «A che serve?» continuò Arthur, voglioso di scoprire. «È un faro che s’illumina di notte. Emana un potente fascio di luce a impulsi per segnalare alle imbarcazioni che si trovano in prossimità di una terra emersa, evitando così che possano andarci a finire contro e affondare». «Interessante» disse Arthur contento di sapere che gli uomini si aiutavano fra di loro. Arthur paragonò il faro al suo amico Gnosis, perché la riflessione fatta su quest’ultima frase lo condusse ad avere la certezza che lui era lì per guidarlo nel suo cammino, proprio come faceva il faro con le imbarcazioni. Proseguirono di pochissimo e, voltandosi verso sinistra, notarono una fossa con un muretto in pietra e una gradinata che conduceva al suo interno. Arthur, incuriosito, fece manovra per andarla a visitare e si recò verso l’entrata. 

La grotta, poco illuminata, appariva come un tunnel lungo una quindicina di metri, con altezza irregolare e con una stradina acciottolata al centro. Le rocce, di natura lavica, mostravano diverse fenditure con alcune formazioni calcaree e tratti gocciolanti d’acqua dolce. I due avanzarono affascinati, scrutando ogni minimo centimetro. Dopo alcuni tratti videro la luce penetrare dall’uscita e poterono ammirare ancora di più la bellezza di quest’anfratto roccioso. Uscirono fuori dal lato opposto e si trovarono davanti al mare aperto. Volendo registrare tutto, si spinsero più avanti, aleggiando sul mare, e si posero davanti all’apertura. Il suono dell’acqua, che s’infrangeva sugli scogli con il sole al declino e il passaggio dei gabbiani, indusse i due all’ascolto di questa magnifica melodia cantata dalla natura. Stettero lì, fermi, immobili, si voltarono solamente per assistere al loro secondo tramonto e l’emozione trasalì come la prima volta. Si trovavano esattamente al lato opposto del paese, in uno dei punti più suggestivi, dove poter ammirare quell’evento astronomico. Avevano compiuto già mezzo giro dell’isola ed erano un po’ stanchi. Ebbero appena il tempo d’osservare un’altra piccola grotta che si trovava a pochi metri da loro, che il cielo divenne grigio e si mise a piovere.

Era il periodo di primavera e il tempo dava la giusta dose climatica al suo pianeta, riscaldandolo con il sole e alimentandolo con la pioggia. I due si rifugiarono nella grotta esplorata precedentemente e, visto che non c’era nessuno, tolsero l’invisibilità dalla navi-cella e ne uscirono. Si fece buio e Gnosis prese la legna, che aveva raccolto nel sentiero di mezzogiorno, e accese un fuoco; mentre Arthur, avvertendo un forte appetito, prelevò del cibo dalla bisaccia ed iniziò a mangiare. Il suo cibo, dal nome kriagidros, era una delle scorte che gli aveva donato il padre; aveva forma circolare, della grandezza di una mano ed era costituito da una sostanza simile alla farina, ma che conteneva, al suo interno, tutti i nutrimenti di cui necessitava il suo organismo, agendo anche da dissetante. Infatti bastarono pochi morsi per sentirsi sazio. Poi ne offrì un po’ anche al suo compagno. «Ti ringrazio» rispose Gnosis «ma quello non è il mio nutrimento». «Davvero? E di cosa ti nutri allora per mantenerti in vita?» esclamò dubbioso Arthur. «Io mi nutro della bellezza della vita e d’ogni gioia che reca la vera felicità degli esseri viventi!» disse enigmatico Gnosis. Arthur divenne rosso. Aveva fatto una figuraccia! Si era dimenticato che parlava con un androide e che quindi non aveva bisogno di cibo, ma questa risposta non riusciva proprio a capirla. Voleva sapere cos’era “la vera felicità” e come faceva a trarne nutrimento da essa ma, vista la figuraccia, non volle infierire. “Mi avrà risposto così, per non creare disagio” pensò. «Capisco la tua perplessità» disse Gnosis, leggendolo nel pensiero «ma si tratta di qualcosa che a tempo debito capirai». Il mistero che aleggiava su questa frase lo fece fremere dalla voglia di voler sapere di più e subito. Ma volendo rispettare le parole di Gnosis, non andò oltre nell’interrogatorio, e decise di pazientare affinché arrivasse il momento giusto.                                                                                              L’atmosfera era degna di due avventurieri come loro. La grotta era illuminata dallo scintillio delle fiamme che coloravano l’ambiente di un arancione tenue contrastato dal buio della notte. Le loro ombre si scagliavano gigantesche sulle rocce, mosse leggermente dal movimento del fuoco, mentre il cielo all’esterno tornava a rasserenarsi mostrando loro lo spettacolare firmamento punteggiato di stelle.                      

I due si riscaldarono, e contemplando le svariate forme assunte dalle fiamme, intrapresero una lunga conversazione. Arthur, volendo verificare per un’ultima volta la conoscenza di Gnosis, gli disse: «Come si chiama questa grotta?» «Si chiama Grotta Pirciata, perché è forata da entrambi i lati!» rispose pronto Gnosis. Arthur non si meravigliò e volle insistere su un fatto che lo aveva fatto riflettere durante tutto il cammino: «Come mai, tu che hai così tanta conoscenza da saper ogni cosa, ti stupisci tanto al vedere tutto ciò che esploriamo?». «La domanda è legittima» rispose in maniera simpatica Gnosis «vedi, caro Arthur, io contengo anche la conoscenza, ma la conoscenza non contiene me. Avere la conoscenza non significa farsi predominare da essa. È importante mantenere sempre lo stupore, perché esso ci continua a dare nuove emozioni e felicità. Se perdiamo questo tipo di gioia, ogni cosa diviene scontata e tutto comincia a perdere d’interesse. Osserva i bambini; loro vogliono sapere il perché di tutte le cose. Per essi ogni cosa è nuova e suscita in loro grande interesse e voglia di scoprire. Ogni volta che hanno scoperto qualcosa, trovano il modo di scoprire ancora dell’altro e poi dell’altro ancora, e così via all’infinito. Il segreto sta nell’essere come i bambini, così potremo gustare sempre tutto, con gioia nuova ogni volta».

Arthur rimase sorpreso; voleva ricordare a Gnosis che, dato che sapeva già tutto, non c’era motivo di stupirsi; ma dopo questa risposta rimase senza parole. Comprese che aveva ricevuto un altro insegnamento. Gnosis non era solo una guida, ma anche un buon maestro. Felice di essere affiancato da un personaggio di tale levatura, decise di volere apprendere sempre più da lui. Ricordò la descrizione che gli aveva fatto del faro che s’illuminava la notte e gli chiese di uscire a osservarlo.                                                                I due s’incamminarono verso l’apertura d’entrata della grotta, e all’uscita si trovarono innanzi all’incantevole visione che suscitavano i quattro potentissimi raggi di luce, sprigionati dal faro che, pulsando per quattro volte consecutive, illuminava tutta la zona circostante, conferendole un aspetto fiabesco, degno d’essere raccontato solo dalle emozioni.

La visione spettrale del c’è e non c’è del faro, il nero delle rocce e del mare, il silenzio del posto lontano dal paese e il fendere delle luci nel cielo affascinò talmente tanto i due, da farli rimanere fermi, in silenzio, a osservare per più di due ore. Contenti di essersi goduti un’ulteriore meraviglia del luogo, rientrarono nella grotta e, sopraggiunti dalla stanchezza, si addormentarono ai piedi del fuoco.

Libro: Il luogo Incantato

14,90 €

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